Museo

Le sezioni

La bachicoltura

Tale attività riveste un ruolo marginale in molte località delle Prealpi lombarde, essendo questa un'area a carattere prevalentemente agropastorale. Tuttavia, nel corso dell'Ottocento e ancora nella prima metà del secolo successivo, l'allevamento del baco da seta e la corrispondente gelsicoltura, potevano essere annoverate tra le principali attività produttive lombarde, come nel caso di Como; città che, specialmente in passato, si distinse nella produzione di ricchi tessuti in seta.

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Il gelso: il cibo del baco

Le foglie del gelso costituiscono il cibo ideale per l'allevamento del baco da seta, poiché contengono asparagina e glucosio, sostanze che ne favoriscono lo sviluppo.
Esistono due varietà di gelso:
- il gelso bianco proveniente dalla Cina, dove era già coltivato in tempi antichi: pianta secolare di notevole altezza, dalla chioma globosa. Possiede foglie cuoriformi, dentate e di colore verde chiaro;
- il gelso nero, originario della Persia. È più robusto, ma di dimensioni più ridotte rispetto alla precedente varietà, dalla quale si distingue altresì per le foglie ruvide, verde scuro e dalla superficie inferiore pelosa. Meno adatta nell'alimentazione del baco da seta.
La gelsicoltura non richiede un elevato carico di lavoro, ad eccezione della potatura annuale.

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L' allevamento del baco da seta: dal seme al bozzolo

il baco da seta

La coltivazione del baco da seta è un lavoro lungo che richiede particolari cure ed attenzioni. In passato, pur coinvolgendo l'intera famiglia, si configurava essenzialmente come attività femminile. L'allevamento del baco aveva inizio con la schiusa dell'uovo che, prodotto a febbraio, era in genere venduto verso la seconda metà di aprile. L'incubazione durava dagli otto ai dieci giorni, al termine dei quali l'uovo si sarebbe schiuso. La larva veniva di seguito nutrita con foglie di gelso finemente sminuzzate. Raggiunte le opportune dimensioni, veniva quindi collocata su stuoie di canne o assi poste l'una sopra l'altra, in una struttura di legno sorretta da quattro pali, detta castello. Qui proseguiva la fase di nutrimento e crescita, contraddistinta da quattro lunghi periodi di inattività, al termine dei quali il baco, mangiando fino a cinque/sei volte al giorno, raggiungeva lo stadio che precede la pupa. Soltanto nel momento in cui dalla bocca spuntava il filamento, il baco era pronto per il bosco che, in meno di una settimana, si sarebbe popolato di bozzoli, in seguito trasferiti alla filanda per la filatura.

bachi da seta ed operazioni inerenti all'allevamento
Bachi da seta ed operazioni inerenti all'allevamento.
Nella parte superiore della tavola, l'uomo di sinistra (per chi osserva) separa i bachi malati da quelli che si accingono a formare il bozzolo.
L'allevatore di destra, invece, porta la pastura di foglie di gelso.
Nella parte inferiore della tavola, sono rappresentate le fasi di vita del baco e gli stadi relativi alla formazione del bozzolo.
Tavola tratta da: L'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, Agricoltura, trad. it., Libri Italia.

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La filatura: dal bozzolo al filo di seta

Le fasi, grazie alle quali si ricavava la seta, si svolgevano alla filanda. La prima operazione constava nella pulitura che, realizzata a mano, liberava dai filamenti i bozzoli meno consistenti. Seguiva, poi, la stufatura, un'attività che con appositi essiccatoi consentiva di uccidere le crisalidi. Si procedeva, quindi, alla cernita, mediante la quale erano eliminati i bozzoli incompleti, e alla trattura. Questa avveniva immergendo inizialmente il bozzolo in acqua bollente, una tecnica con cui era possibile sciogliere il capo del filo di seta che, avvolto su un aspo in rotazione, veniva così completamente dipanato. I singoli filamenti venivano in seguito uniti in gruppi di 3, 4 o 5 e fatti passare attraverso un foro (filera). Ciò avrebbe permesso la completa produzione del filato. Per ottenere tessuti più fini, si procedeva alla torcitura, detta impropriamente filatura: la seta, disposta sugli aspi in matasse, era attorcigliata più volte su una serie di rocchetti (incannatura e stroncatura).

molino quadrato per la torcitura del filo di seta
Molino quadrato, visto in prospettiva e in pianta, per la torcitura del filo di seta e della lana.
Per azionare la ruota che comunica il movimento, uno o due operai devono piazzarsi fra i raggi della medesima.
I fusi sono quarantotto: la tavola, per evidenza dell'immagine, mostra solo i ventiquattro anteriori.
Tavola tratta da: L'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, Tessuti, trad. it., Libri Italia.

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Il mondo della filanda

Le filande Ranchet nei pressi dellÂ’abitato di Brinzio, esempio di archeologia industriale
Le filande Ranchet nei pressi dell'abitato di Brinzio, esempio di archeologia industriale. Oggi in completo stato di abbandono.

La lavorazione della seta è un esempio significativo dello stretto rapporto venuto ad essere tra coltivazione agricola (in tal caso la coltura del baco da seta) e produzione seriale (la lavorazione in filanda). Le prime filande industriali si diffusero in Lombardia verso la seconda metà dell'Ottocento, segnando di conseguenza il passaggio dalla condizione di contadino/artigiano a quella operaia.

Condizione operaia delle filandiere
Il lavoro alla filanda era di norma svolto dalle donne, talvolta da bambine, in condizioni fisiche ed ambientali estremamente difficili. Le operaie erano, infatti, costrette a lavorare per quindici/diciassette ore consecutive, in luoghi chiusi, poco illuminati ed insalubri a causa delle ceneri provenienti dalle fornaci. Il continuo contatto delle mani con l'acqua bollente avrebbe potuto altresì provocare dolorose infiammazioni alle articolazioni. La filanda era inoltre retta da una rigida e severa organizzazione gerarchica, alla base della quale vi erano le bambine che, in età giovanissima, vi entravano svolgendo le mansioni più semplici e degradanti. Tali difficili condizioni lavorative, nel corso della seconda metà dell'Ottocento hanno spesso condotto le operaie a proteste e rivolte, non di rado al seguito dell'esteso malcontento contadino, indotto dalla progressiva recessione agricola. Sebbene la filanda sia stata un luogo di pena e fatica, a posteriori è tuttavia possibile ravvisarne un carattere positivo conseguenza della nuova condizione operaia della donna. Il salario, per quanto misero, consentì infatti un certo grado di emancipazione e indipendenza.

Il canto
Le filandiere accompagnavano le differenti fasi lavorative col canto, un comportamento senza dubbio efficace per garantire rendimenti maggiori. Oltre a rappresentare un importante strumento di socializzazione, il canto era di indispensabile conforto e sollievo all'estenuante fatica e monotonia lavorativa. Di seguito si riporta il testo della canzone premiata al primo Concorso per la Canzone Popolare Lombarda (1891).

canzon della filandera
Immagine tratta da Mondo popolare in Lombardia,
Como e il suo territorio, Silvana Editoriale d'arte, pag. 137

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Sezione "L'apicoltura"

L'allevamento delle api, specialmente nell'area collinare e montuosa dell'alto Varesotto, rappresentava un'attività secondaria nell'economia agrosilvopastorale del territorio. Anche se a Brinzio e in alcune località della Valcuvia era piuttosto comune la produzione di miele di castagno.

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L'arnia: la casa delle api

Arnie
Arnie.

Elemento indispensabile nell'apicoltura è l'arnia, la cassetta nella quale le api producono il miele. Si ritiene che il termine arnia sia riconducibile al tema dell'arna, nome con il quale usualmente si indicava il letto incavato del fiume. L'arnia rappresenterebbe, quindi, la cavità nella quale la comunità delle api vive e lavora laboriosamente. Al suo interno si trova un mondo gerarchizzato e altamente produttivo.

Il disegno seguente mostra le diverse parti che compongono un'arnia:
1. Vista frontale:
a. Tettoia a uno o due spioventi per la protezione dagli agenti atmosferici.
b. Soffitto mobile.
c. Camera di covata (melario) con dodici telaini.
d. Cassa nido con dodici telaini.
e. Fondo mobile per l'approdo.
f. Cavalletto.

2. Vista laterale.
3. Arnia completa.
4. Diaframma per regolare il volume della camera di covata.
5. Telaino.

le parti che compongono un'arnia
Immagine tratta da Cultura contadina in Toscana, il lavoro contadino, Bonechi Editore, pag. 442

L'apicoltura
L'apicoltura
Nella parte superiore della tavola si osserva un apiario, che ospita alveari di ogni specie e forma, e contadini al lavoro. L'Encyclopèdie si avvalse dell'opera di René de Réaumur (1683-1757), Mémoires pour servir à l'Histoire des Insectes, edita intorno al 1740, che poneva le basi della moderna biologia degli Insetti e, nello specifico, delle Api.
Tavola tratta da: L'Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert, Agricoltura, trad. it., Libra Italia.

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Il mondo delle api

Api al lavoro
Api al lavoro.

Osservando attentamente il comportamento delle api si possono ricavare molte informazioni, in particolar modo relative alla loro organizzazione. La colonia, di tipo matriarcale, è retta da una rigida gerarchia, al vertice della quale si trova l'ape regina, la cui principale funzione è quella di riprodursi in continuazione, deponendo un impressionante numero di uova: 2000 al giorno, circa 2 milioni durante l'intero arco di vita (quattro-cinque anni). Dalle uova non fecondate nascono i fuchi, ovvero i maschi, che, essendo nutriti dalle api operaie fino al giorno delle nozze, possiedono un'esclusiva funzione riproduttiva. Il rituale dell'accoppiamento avviene in volo (volo nuziale), terminato il quale i fuchi vengono uccisi o scacciati dalla colonia. Dalle uova fecondate nascono invece le larve femmine, la maggior parte delle quali maturerà in individui sterili: le operaie. L'organizzazione dell'alveare dipende dal loro incessante lavoro. A seconda dell'età, le operaie potranno occuparsi della realizzazione delle cellette esagonali, nelle quali si conserveranno il miele e le uova non ancora schiuse, oppure potranno prendersi cura delle larve o della regina, nutrendole e pulendole, o più semplicemente si premureranno di coprire con un sottile strato di cera le celle contenenti il miele e le larve. Alcune operaie infine potranno svolgere il delicato incarico di sorvegliare l'ingresso dell'alveare, per proteggerlo da eventuali pericoli, mentre le ventilatrici, sbattendo le ali, consentiranno di mantenere costante la temperatura dell'arnia, funzione indispensabile nella conservazione del miele e nella maturazione delle larve. Le più anziane, invece, svolgeranno l'incarico di bottinatrici, dedicandosi all'attività esterna di estrazione del polline, della propoli e del nettare dai fiori. Ogni operaia, durante la sua breve vita (4-5 settimane), effettua in successione tutte queste mansioni, seguendo un vero e proprio "calendario innato". Solamente le larve femmine nutrite con la pappa reale, raggiungendo la maturità sessuale, potranno diventare regine. In primavera o in estate, quando ormai la colonia d'api è numerosa, avviene la sciamatura, un comportamento sociale grazie al quale le giovani regine abbandono il vecchio alveare, al fine di crearne uno nuovo. È in questo periodo che si compie il cosiddetto volo nuziale.

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Il miele e i suoi impieghi

In genere, all'inizio dell'estate e verso autunno, si procede alla smelatura. Ossia il processo che consente di estrarre il miele dai telai dell'arnia che, dopo essere stati scoperchiati, vengono riposti nello smelatore, una semplice macchina ideata nel 1866 dal maggiore austriaco Franz Hruska. La forza centrifuga, ottenuta azionando una manovella, permette così di asportare con facilità il miele senza danneggiare i favi. Le api sono una risorsa fondamentale per le attività produttive dell'uomo. Il miele, infatti, oltre ad essere un ottimo surrogato dello zucchero, costituisce un alimento ad alto contenuto energetico per gli adulti e un ricostituente per i piccoli. Utilizzato tuttora in cucina nella preparazione di diversi cibi, un tempo, mescolato col latte, rappresentava altresì un utile rimedio nel curare le malattie dei bronchi. Dall'apicoltura si ricava inoltre la cera d'api, sostanza secreta dalle operaie che, purificata con trattamenti fisici e chimici, possiede largo impiego nella modellatura, nell'industria dei fiammiferi, nella manutenzione di mobili e pavimenti, oltre che nella fabbricazione di candele e nella preparazione di medicamenti e cosmetici. Nelle comunità rurali, la cera d'api era anche impiegata nel rendere più consistente la canapa e nell'irrobustire i fili utilizzati per rammendare scarpe e vestiti. Le api, costituendo un'importante agente naturale nell'impollinazione di diverse colture agricole, sono infine di grande utilità nello svolgimento di alcuni cicli produttivi propri dell'ecosistema umano.

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