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Le sezioni

La filatura e la tessitura

La sezione presenta una serie di strumenti utilizzati nella filatura di canapa, lino e lana.
Tutti i filatoi esposti provengono da famiglie brinziesi e si distinguono in tipi a pedale orizzontali e verticali. Alcuni di questi sono produzioni artigianali di ambito domestico, sovente realizzati ricuperando pezzi di scarto.

La tessitura e la filatura possono essere ritenute attività produttive tipicamente rurali. Tuttavia, già negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, con la progressiva industrializzazione delle manifatture tessili e la conseguente contrazione della coltivazione di canapa e lino, erano quasi del tutto scomparse in molte località della penisola italiana e in gran parte dell'arco alpino.
A Brinzio, la coltura della canapa fu particolarmente diffusa nell'Ottocento, quando se ne producevano annualmente fino ad otto quintali per ettaro. Una quantità sufficiente per alimentare una piccola tessitura "casalinga". La canapa, coltivata nella località detta dei Canovali, era impiegata soprattutto per confezionare abiti, tovaglie, strofinacci, sacchi e grembiuli per la battitura e la raccolta delle castagne.

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La canapicoltura

La coltivazione della canapa è condizionata dalle proprietà del terreno e, più in generale, dalle condizioni ambientali del territorio: clima, umidità ed altitudine (non cresce al di sopra dei 1400 metri), senza trascurare gli usi produttivi appartenenti alle specifiche tradizioni culturali.
In alcune località collinari e montuose dell'arco alpino e in gran parte dell'Italia centrale, poteva talvolta coesistere con la coltivazione del lino.
Piemonte ed Emilia Romagna (specialmente il Ferrarese) sono state in passato vere e proprie zone canapicole.
La lavorazione della canapa, dalla raccolta alla tessitura, si strutturava prevalentemente come lavoro femminile ad esclusione della macerazione e della gramolatura che, essendo mansioni piuttosto faticose, erano svolte dagli uomini.

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Le fasi di coltivazione della canapa

Raggiunta la maturazione, la canapa era in genere strappata afferrandone un ciuffo con la mano e tirandolo verso l'alto, altrimenti avrebbe potuto essere tagliata a raso mediante l'impiego di una roncola o un comune falcetto (falciola).
Il raccolto, di norma, veniva effettuato da giugno ad agosto. Tuttavia, la canapa femmina (con i semi), maturando più tardi, poteva essere raccolta anche a settembre, se non addirittura ad ottobre in alcune aree alpine. Il maschio, estirpato prima e comunemente considerato dalla cultura popolare femmina, forniva un filato più fine, al contrario del canapone (pianta femmina).
Il raccolto veniva successivamente avvolto in fasci che, legati in mannelli o piccoli covoni, venivano ammonticchiati.

Seguiva, di poi, la macerazione, necessaria nel rendere più semplice la separazione della parte fibrosa (libro) dallo stelo legnoso. Questa, in relazione all'indice di umidità della zona geografica, poteva durare da alcune settimane fino a qualche mese, protraendosi fin verso l'inverno. Si svolgeva immergendo i fasci in acque stagnanti e poco correnti, così da consentirne la fermentazione. Dove non vi fosse stata acqua a sufficienza, si procedeva alla realizzazione di specifiche fosse che, profonde circa un metro e in leggera pendenza, avrebbero così costituito una sorta di stagno artificiale. In aree particolarmente umide, la macerazione avveniva più semplicemente stendendo gli steli di canapa in lunghe file su un prato, ad essa si accompagnava l'asciugatura all'aria e al sole o, nelle regioni alpine, in luoghi protetti come terrazze e sottotetti.

Sopraggiungendo l'autunno, non era rara l'essiccazione su fuoco, pratica diffusa soprattutto nelle aree montuose delle Alpi: si realizzava all'aperto una fossa rettangolare in muratura (braciere), coperta da una griglia di legno, sulla quale veniva stesa la canapa in modo da evitarne la bruciatura. In sostituzione, avrebbe potuto essere utilizzato il forno del pane. Successivamente si procedeva alla separazione delle fibre dalla parte legnosa. Il metodo più semplice ed arcaico era la scavezzatura, un'occupazione prevalentemente femminile, che consisteva nel prendere uno stelo alla volta, nello spezzarne la radice e, quindi, con un abile strappo liberare la fibra, possibilmente senza romperla. Talora, sebbene più consueta per il lino, dopo la macerazione e l'essiccazione, i fasci di canapa avrebbero potuto essere sottoposti a battitura (pestatura). Gli steli venivano battuti su una superficie rigida (panca di legno, pietra, ecc.), oppure impiegando appositi strumenti: pestelli, tavolette spesse con manico, martelli di legno, roncole, ecc. Nelle località dove la canapicoltura era diffusa, potevano essere utilizzati anche mulini a pestelli o a mancina, azionati ad acqua. Si effettuava poi la stigliatura, non sempre praticata nelle regioni alpine e, in genere, compiuta da due lavoranti. I mannelli di canapa venivano spinti lentamente su un supporto di legno (cavalletto, panca, ecc.) e percossi con un randello, un bastone o una roncola. Mentre gli steli si sarebbero così rotti, le parti legnose sarebbero cadute a terra. Tuttavia il sistema più rapido nella separazione della fibra era, indubbiamente, la gramolatura. Una procedura che consentiva di spezzare gli steli della canapa mediante l'uso di uno specifico utensile: la gramola: uno strumento a leva di legno, lungo e ingombrante che, a causa della sua pesantezza, era piuttosto faticoso da manovrare. La gramolatura si configurava, infatti, come lavoro maschile. Gli uomini, di solito, tenevano sotto il braccio sinistro un lungo fascio di canapa, mentre col destro alzavano e abbassavano la lunga leva di legno (fino a 2 metri), con uno scatto violento di tutto il corpo. Seguivano, quindi, la spatolatura e la pettinatura, entrambe necessarie alla pulitura della filaccia e alla completa eliminazione dei piccoli frammenti di parti legnose ancora presenti. La prima consisteva nel battere o lisciare i fasci appesi mediante l'uso della scotola (scotolatura), una sorta di sciabola di legno lunga dai 60 ai 70 centimetri. La seconda era, invece, necessaria per pulire e liberare completamente la canapa dalle impurità. La pettinatura era un'attività piuttosto impegnativa, non solo perchè nell'eseguirla si produceva molta polvere, ma anche poichè avrebbe richiesto una certa abilità, al fine di non danneggiare le fibre. Per tale motivo, soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, era compiuta da veri e propri professionisti.

Strumenti utilizzati nella lavorazione della canapa
Strumenti utilizzati nella lavorazione della canapa. Si osservi la gramola.
Foto da: P. Scheuermeier, Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza, Longanesi & C., Milano 1980, vol. II

Strumenti utilizzati nella lavorazione della canapa
Strumenti utilizzati nella lavorazione della canapa. Si osservi la gramola.
Foto da: P. Scheuermeier, Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza, Longanesi & C., Milano 1980, vol. II

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Dalla filatura alla tessitura

La filatura era un'occupazione tipicamente femminile, indispensabile nella realizzazione del filo mediante torcitura delle fibre. Si filava manualmente col fuso e la rocca oppure con l'aiuto del filatoio. Nella filatura a mano, la filatrice era solita tendere dalla rocca tante fibre quante avrebbe potuto torcerne con la punta delle dita. Durante tale procedura, il fuso, grazie ad un sapiente movimento del braccio, veniva mantenuto in continua rotazione. Il filo, torto a sufficienza, era quindi avvolto sul fuso stesso. Nei sistemi di filatura meno arcaici era comune l'impiego del filatoio, generalmente di legno (le forme più moderne di metallo), nel quale il fuso, in posizione orizzontale (spola), era messo in rotazione da una ruota: la girella. Il filatoio poteva essere azionato a mano o da un pedale con meccanismo a biella. Quest'ultimo era particolarmente diffuso nelle regioni dell'Italia settentrionale, contrariamente alle località meridionali dove, ancora nella prima metà del Novecento, si conservavano tecniche più tradizionali. Di norma le ragazze imparavano a filare col fuso e, solo successivamente, col filatoio, il cui rendimento era senza dubbio maggiore. Tuttavia, laddove non vi fosse stata disponibilità di spazi sufficientemente grandi e al chiuso, si preferiva ancora l'utilizzo del fuso e della rocca. Ottenuto il filato, si procedeva alla aspatura, tecnica con la quale il filo veniva avvolto in matasse. Questa operazione, compiuta mediante l'impiego dell'aspo (nelle forme più tradizionali, si trattava di un bastone di legno con pioli trasversali), consentiva la conservazione del filo, oltre a liberare gli strumenti della filatura. Quindi le matasse, dopo essere state lavate, erano riposte all'interno di un mastello dove venivano bollite nella liscivia (acqua e cenere di legna). Risciacquate in acqua fresca, spesso al fiume, erano di seguito stese ad asciugare ed imbiancare. Faceva quindi seguito la dipanatura: lo svolgimento della matassa sull'arcolaio girevole. Il filo poteva essere così avvolto in un gomitolo per fare la maglia, oppure su una spola (incannatura) per l'orditura (fare l'ordito) e la tessitura a telaio.

Gli strumenti della filatura: rocche, fusi, aspo, arcolai, spolette e filatoio
Gli strumenti della filatura: rocche, fusi, aspo, arcolai, spolette e filatoio.
Tavola tratta da: L'Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert, Tessuti, trad. it., Libra Italia.

Telaio orizzontale
Telaio orizzontale.
Tavola tratta da: L'Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert, Tessuti, trad. it., Libra Italia.

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